In questa guida spieghiamo come sfiduciare l’amministratore di condominio.
Abitare in un condominio non è sempre facile e spesso la convivenza tra le famiglie che vi abitano può causare dispute e liti che degenerano in veri e propri contenziosi. Per questo si rivela necessaria la figura dell’amministratore di condominio, che viene scelto dai condomini per mantenere l’ordine nell’edificio e regolare i rapporti tra condomini, secondo le norme del codice civile. Ciononostante, quando l’amministratore non svolge bene il suo compito, facendo venire meno la fiducia dei condomini nei suoi confronti, questi ultimi possono sfiduciarlo attraverso lo strumento giuridico della revoca.
Indice
Quali sono i casi in cui è possibile sfiduciare l’amministratore di condominio
Ai sensi dell’art. 1129 comma 10 del codice civile, l’amministratore di condominio riceve mandato per un anno e lo stesso si rinnova automaticamente per uguale data. Tuttavia, se ci sono validi motivi, l’assemblea può decidere di sfiduciare l’amministratore in qualunque momento, indicendo un’assemblea condominiale ordinaria e ottenendo il voto favorevole della maggioranza dei presenti intervenuti. La legge precisa che per conseguire la maggioranza, è necessario ottenere il voto favorevole di un numero di presenti che raggiunga perlomeno la metà dei millesimi della struttura che costituisce il condominio.
L’ordinamento italiano, ad essere precisi, non adotta il termine sfiducia, ma revoca del mandato per giusta causa, per differenziarla dalla revoca senza motivo, chiamata anche revoca pura e semplice. Quest’ultima, come vedremo in modo approfondito nei paragrafi successivi, sebbene ammessa dalla legge, obbliga i condomini a pagare all’amministratore il compenso previsto nel contratto e quello non ancora percepito.
Oltre alle ipotesi di revoca, l’ordinamento italiano prevede anche un’altra possibilità per fare cessare il mandato dell’amministratore di condominio ed è l’azione legale che il singolo condomino può istaurare davanti al tribunale competente. Si tratta dell’ipotesi in cui il singolo condomino, esasperato dalla condotta dell’amministratore, decide di fargli causa nonostante il disaccordo o il disinteresse degli altri condomini.
Questo significa che il diritto di mandare via l’amministratore può essere esercitato dall’intero gruppo di condomini, dalla maggioranza prevista dalla legge, o, infine, dal singolo che esperisce azione isolatamente.
Risulta essere importante sottolineare che l’amministratore di condominio è legato ai condomini da un rapporto di mandato di carattere fiduciario, per cui, venuta meno la stima nel suo operato, è possibile revocarlo dall’incarico. In particolare, l’articolo 71 bis disp. att. del codice civile lettere a, b, c, d ed e, disciplina i casi in cui l’amministratore perde i requisiti per svolgere le sue funzioni con la conseguente cessazione dalla carica.
Vi è, infine, il caso in cui è l’amministratore di condominio a decidere, nel corso del suo mandato, di voler rinunciare all’incarico: in questo caso dovrà presentare le dimissioni convocando una nuova assemblea per nominare l’amministratore che lo sostituirà.
Nel corso della guida affronteremo il tema della sfiducia dell’amministratore di condominio, i casi in cui è possibile revocare per giusta causa o senza giusta causa, la procedura per ottenerne la revoca, la sostituzione definitiva e la responsabilità civile e penale degli amministratori di condominio.
Scadenza dell’incarico e revoca dell’amministratore di condominio prima della scadenza del termine senza giusta causa
Come anticipato, la carica di amministratore di condominio dura un anno ed è rinnovata automaticamente per un altro anno, salvo i casi di revoca da parte dell’assemblea. Ai sensi dell’art. 1129 comma 10 c.c., infatti, la revoca è valida se l’assemblea raggiunge la maggioranza dei presenti, o quanto meno la metà del valore dell’immobile, 500/1000. La legge, in pratica, chiede le medesime maggioranze previste per la nomina. In questa ipotesi, l’amministratore che è stato revocato non avrà diritto né al risarcimento dei danni né a somme di denaro a titolo di buonuscita.
In alcuni casi, invece, l’amministratore può essere revocato nel corso del proprio mandato anche senza giusta causa. Può succedere, infatti, che nonostante il mandato non sia ancora scaduto e non vi siano ragioni oggettive espressamente previste dalla legge per mandarlo via, i condòmini non riescano più ad avere fiducia nel suo lavoro e decidano per questo di sfiduciarlo all’unanimità. Qualora non tutti i condòmini siano dello stesso avviso, è ammessa la sfiducia anche con il voto favorevole della maggioranza dei presenti all’assemblea o almeno della metà del valore dell’edificio.
Secondo la giurisprudenza più consolidata, l’azione di sfiduciare l’amministratore di condominio dal suo mandato prima della scadenza del contratto viene definita recesso anticipato e ha delle conseguenze sui condòmini: prime fra tutte il risarcimento dei danni, che sarà pari al compenso residuo che spetta all’amministratore per il tempo residuo del mandato. In pratica, l’amministratore matura il diritto a essere pagato fino alla fine del mandato indicato nel contratto nonostante non svolga più il suo lavoro. Tale obbligo al risarcimento deriva dal fatto che la volontà di cessare il suo compito non dipende da lui bensì dalla determinazione di tutti o di parte dei condòmini.
Revoca per giusta causa dell’amministratore durante l’incarico
Vi sono dei casi in cui l’amministratore di condominio può essere revocato per gravi irregolarità compiute nell’esercizio delle sue funzioni: in questo caso la revoca avviene per giusta causa e comporta responsabilità precise a carico dell’amministratore. Tali irregolarità sono tassativamente previste dalla legge e riguardano
-la mancata apertura di un conto corrente condominiale
-l’improprio utilizzo del conto corrente condominiale
-il compimento di irregolarità fiscali gravi.
Quando l’assemblea non ha intenzione di revocare l’amministratore di condominio per una giusta causa, il singolo condomino può agire autonomamente mediante domanda giudiziale da presentare al tribunale competente. Ovviamente, nel caso in cui la sua domanda giudiziale venisse accolta, il condomino ricorrente potrà rivalersi nei confronti dell’intero condominio, che si rivarrà, a sua volta, nei confronti dell’amministratore che è stato revocato.
Per ottenere la revoca dell’amministratore con ricorso al tribunale è necessaria la prova che l’amministratore ha posto in essere comportamenti scorretti, come nei casi di
-omissione di comunicazione all’assemblea della notifica dell’atto di citazione o di un provvedimento amministrativo in tempi stretti: questo ritardo, infatti, potrebbe rendere impossibile ai condomini il diritto di difendersi o di risolvere la controversia, con gravi ripercussioni economiche
-omissione di presentazione della rendicontazione della gestione: si tratta di una delle cause principali che fanno venire meno la fiducia nell’amministratore in quanto tale mancanza sottende generalmente una gestione poco chiara
-compimento di irregolarità gravi nello svolgimento delle sue funzioni: che sia per negligenza, imperizia o colpa, questo comportamento genera dubbi nell’onestà dell’amministratore e può causare danni al condominio.
Più precisamente, le irregolarità che la legge definisce gravi e che permettono di sfiduciare l’amministratore per giusta causa, revocando il suo mandato, sono:
-omessa comunicazione della citazione in giudizio dell’intero condominio per l’istanza di revisione dei valori millesimali
-mancata convocazione dell’assemblea nei casi di approvazione annuale del rendiconto condominiale
-rifiuto ripetuto di convocazione dell’assemblea per la nomina e la revoca dell’amministratore entrante
-l’omessa esecuzione di provvedimenti amministrativi e giudiziari
-mancato adempimento di risoluzioni assembleari
-omesso impiego del conto corrente intestato al condominio
-gestione impropria del conto corrente tale da ingenerare confusione tra i beni personali e quelli condominiali
-avere accettato la cancellazione di un’iscrizione nei registri immobiliari per un credito non soddisfatto, per tutelare i diritti del condominio
-mancato rispetto degli obblighi previsti dalla legge in materia di tenuta dei registri condominiali, come verbali di assemblea, anagrafica del condominio, contabilità o revoca e nomina dell’amministratore
-omessa consegna al condominio dell’attestazione relativa allo stato dei pagamenti avente ad oggetto le spese del condominio e delle liti pendenti, ove ne fosse stata fatta richiesta
-mancata, inesatta o incompleta comunicazione di quei dati cosiddetti identificativi della società o della persona incaricata di amministrare l’edificio e la sede dei locali nei quali sono conservati i registri obbligatori del condominio.
Come si evince dall’elenco, i casi di revoca per giusta causa hanno ad oggetto comportamenti scorretti dell’amministratore che possono causare danni al condominio e fanno venire meno il rapporto fiduciario che è alla base della sua nomina.
Azione giudiziaria contro l’amministratore e tentativo di conciliazione
Nel caso in cui un singolo condomino sia deciso a sfiduciare l’amministratore di condominio, questi ha un unico strumento da azionare: il ricorso al giudice. È bene specificare, però, che prima della causa vera e propria la legge chiede ai legali delle controparti di tentare una conciliazione, evitando così una lite che potrebbe risolversi in modo pacifico. Nella fase della conciliazione i legali proveranno a risolvere in via bonaria la lite, contemperando gli interessi delle parti: evitare un processo significa infatti trovare velocemente una soluzione, riconoscendo i diritti di entrambe le parti.
Esperito il tentativo di conciliazione con esito negativo, il giudice sente l’amministratore del condominio in camera di consiglio e decide con decreto motivato se accogliere o rigettare l’istanza di revoca.
Qualora il giudice accogliesse la richiesta di revoca, il condominio deve riunirsi e nominare il nuovo amministratore.
È bene ricordare che nonostante la cessazione dall’incarico, l’amministratore ha l’obbligo di continuare a esercitare le sue funzioni fino alla nomina del suo successore. Si tratta della prorogatio, un principio che si applica sia nel caso di revoca per giusta causa che di dimissioni. Non solo, ai sensi dell’art. 1129 comma 8 c.c., l’amministratore di condominio cessato dal suo incarico dovrà comunque svolgere tutte le attività urgenti che gli competono per evitare l’insorgenza di pregiudizi e danni agli interessi comuni senza il diritto a ricevere compensi ulteriori.
La ratio della norma è proprio quella di evitare che i beni del condominio restino senza custodia fino alla nomina del successivo amministratore. In molti casi la nomina si risolve in pochi giorni, ma in altri casi richiede mesi durante i quali l’edificio necessita di gestione: possono esserci lavori in corso per i quali è richiesta la coordinazione dell’amministratore, situazioni di pericolo dell’edificio da monitorare e tante altre attività che richiedono direzione.
Revoca e dimissioni dell’amministratore – Quali sono le sue responsabilità
Come si evince dalla lettura dell’articolo, sull’amministratore di condominio gravano alcune importanti responsabilità sia di natura civile che penale.
La responsabilità civile discende dal contratto di mandato stipulato con i condomini e ha ad oggetto i casi di inadempimento degli obblighi che gravano su di lui. Per fare qualche esempio, basti pensare al rapporto con i fornitori, alla corretta tenuta della contabilità, alla custodia e alla vigilanza dei beni comuni e, ancora, al caso in cui l’amministratore resti inerte di fronte ai morosi senza attivare l’art. 1129 comma 9 del codice civile. Ricordiamo, infatti, che l’amministratore può agire esecutivamente contro quei condomini inadempienti e morosi e che la sua responsabilità discende sia da condotte attive e cioè caratterizzate da colpa sia da mere omissioni, quando ne è disceso un pregiudizio economico per il condominio.
Il termine di prescrizione per esercitare l’azione di responsabilità nei confronti dell’amministratore è di dieci anni, dal momento che si tratta di responsabilità per inadempimento. Per tutelarsi, l’amministratore deve stipulare una polizza che copra la responsabilità di natura civile per i danni che potrebbero scaturire dallo svolgimento del suo incarico. L’importanza della polizza si evince anche dal tenore dell’art. 1129 comma 3, che dà la possibilità all’assemblea di subordinare la nomina dell’amministratore alla sottoscrizione dell’assicurazione.
Con la sentenza numero 25251 del 2008, la Corte di cassazione si è pronunciata sulla responsabilità in caso di danni a terze persone. Con una decisione rivoluzionaria che è diventata giurisprudenza dominante, la Corte ha stabilito che nel caso in cui si verifichino danni ai terzi, la responsabilità ricade su tutti i condomini, i quali, eventualmente, potranno esercitare un’azione di rivalsa nei confronti dell’amministratore in forza del rapporto che discende dal contratto e solo nel caso in cui in il danno sia una conseguenza dell’inadempimento dell’amministratore. Quest’ultimo, infatti, ha il dovere di gestire le cose comuni con la diligenza del buon padre di famiglia, occupandosi della loro custodia e conservazione, vigilando attentamente per evitare che possano verificarsi danni ai condomini o a terzi soggetti.
A carico dell’amministratore grava anche una responsabilità penale. Ai sensi dell’art. 40 comma 2 c.p., infatti, egli ha l’obbligo di vigilare su tutte le parti comuni adottando idonee misure per prevenire qualsiasi tipo di pericolo per la pubblica incolumità e che discendono in via diretta dai beni del condominio. Questo significa che l’amministratore deve avere una condotta diligente per prevenire situazioni potenzialmente pericolose, evitando così di rispondere penalmente.
Come più volte spiegato dalla dottrina dominante, la norma lascia intendere che a carico dell’amministratore gravi una responsabilità sia per reati commissivi che omissivi, ricordando che l’articolo 40 comma 2 del codice penale specifica il seguente principio, non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di evitare equivale a cagionarlo. Discende da tale assunto che l’amministratore di condominio svolge una posizione di garanzia che gli impone di rispettare quelle norme che il nostro ordinamento ha introdotto in materia di sicurezza. Infatti, se viene cagionato un danno conseguente a un’omissione dell’amministratore, come le lesioni di uno dei condomini o di un terzo, egli deve rispondere penalmente della sua condotta.
Non importa se il danno sia stato causato da una condotta attiva o per omissione, egli risponderà ugualmente del male cagionato. Per essere più chiari, basti pensare all’esempio classico del cornicione ammalorato che presenta dei rischi per la pubblica incolumità. In questo caso, l’amministratore è tenuto a imporre ai condomini e ai terzi il divieto di transito e di accesso, dal momento che in caso di lesioni per caduta di calcinacci, egli dovrebbe rispondere del reato di lesioni colpose ai sensi dell’articolo 590 del codice penale o addirittura di omicidio colposo, ai sensi dell’articolo 589, nei casi di particolare gravità.
La giurisprudenza di legittimità e la dottrina dominante sono concordi nel ritenere che il ruolo svolto dall’amministratore lo pone in una posizione di garanzia che fa scaturire una responsabilità derivante da omessa rimozione dello stato di pericolo che mette in pericolo condomini e terzi, oltre all’eventuale fatto dannoso che causalmente è derivato dallo stato di pericolo che scaturisce dalla cattiva o scarsa manutenzione dell’edificio.